Riflessione sulla sofferenza nell’Antico Testamento parte1

Antico Testamento

A cura di Di Don Francesco Leone

CREAZIONE

Gn 2-3 e l’origine del male

Creazione ed alleanza rappresentano l’orizzonte entro il quale la fede di Israele considera e valuta le situazioni umane, dunque anche quella della presenza del male nella storia.

Gn 1 presenta la realtà creata come buona e molto buona, Dio ha creato il mondo con sapienza.

Gn 2-3 presenta invece il peccato dell’uomo come causa della rovina della creazione. La rottura del peccato prevede una condanna che scaccia l’uomo e la donna dal giardino dell’Eden e stabilisce un legame tra peccato e dolore (per la donna dolore del parto e dominio dell’uomo, 3, 16; per l’uomo la fatica del lavoro: Gn 3, 17-19).

In prima battuta, dunque, è evidente l’intento dell’autore biblico di scagionare Dio dall’accusa possibile di essere causa del male e di attribuire all’uomo la responsabilità primaria, sia pure sotto l’influsso negativo del diavolo tentatore.

Resta la contesa senza fine tra la stirpe della donna e quella del serpente (stesso verbo schiuff che indica sia lo schiacciare la testa come l’insidiare il calcagno di Gn 3, 15).

L’autore sacro parte da una analisi del presente che così si presenta e ne coglie l’eziologia nel peccato delle origini.

Dunque la posizione classica vede nel mondo creato da Dio un qualcosa di originariamente buono e non segnato dal male. Il male è entrato in un secondo momento a causa del peccato dell’uomo indotto a ciò dal tentatore/diavolo. Da tale situazione l’uomo sarà redento grazie all’opera di Dio stesso attraverso il Figlio suo Gesù che muore in croce per noi.

Tuttavia la sottolineatura circa la situazione di caduta dell’umanità non è propriamente il messaggio centrale di Gn 2-3, essa risale piuttosto alla letteratura apocalittica del giudaismo post-esilico ripresa da Paolo prima e da Agostino poi.

Il testo di Gn2-3, inoltre, risente della cultura del tempo. Nei miti mesopotamici era conosciuta e ben testimoniata la convinzione della condizione decaduta dell’uomo che non veniva fatta però risalire ad una qualche colpa commessa, quanto piuttosto ad un decisione degli dei per limitare il potere degli uomini.

Tale decisione contro l’uomo da parte degli dei, e ad essa si può associare tutto il male che colpisce l’uomo stesso, non crea problemi in un mondo politeistico, dove ci sono anche dei cattivi, o invidiosi/contro gli uomini. Non fa problema neppure in tutte le visioni dualiste che prevedono un Dio del bene e un Dio del male. Fa problema invece nel caso del Dio biblico dove tutto dipende dall’opera di un Dio che è buono ed apre il problema del male cui la Scrittura propone tre soluzioni.

1. La letteratura deuteronomista/sapienziale pensa al male come risultato di una colpa morale compiuta dall’uomo contro i comandi di Dio. L’essere umano è libero e il male è la conseguenze delle sue scelte libere sbagliate.

2. La tradizione enochica (dall’apocrifo primo libro di Enoc) colloca la causa del male nella natura stessa dell’uomo, non in sue scelte sbagliate. Alle origini sta cioè un peccato degli angeli con ripercussioni sulla natura umana (anche perché gli angeli si sono accoppiati alle donne: Gn 6, 1-14). Qui l’uomo è più che altro vittima e a questo male non è sufficiente una sua azione di rimedio.

3. Gn 2-3 addebita l’attuale condizione umana alla libera scelta dell’uomo, Dio ha infatti creato tutte cose buone e molto buone. In particolare emerge qui il ruolo del serpente che indica all’uomo la propria condizione creaturale subito colta, nell’inganno, come un limite imposto e perciò ingiusto. La sapienza del serpente (la più astuta delle creature) si oppone alla sapienza di Dio. Tale sapienza di Dio è per il bene dell’uomo, ma l’uomo la rifiuta e perciò perde questo bene ed è costretto a vivere con la sola propria sapienza, in ogni caso dono di Dio, vivendo perciò la condizione di fatica e di dolore che lo caratterizza nella storia.

È la sapienza di questo mondo condannata da Paolo (1Cor 1, 20-21).

1.2. Siracide (originale 180 a.c. tr. in greco del nipote 132 a.c.)

L’autore sottolinea l’importanza della salute e dramma della malattia: 30, 14-17. la malattia può essere causa di una crisi profonda di fede, ne è testimone Giobbe (Gb 3; 9, 21; ma anche Ger 20, 14-18).

In ogni caso per il Siracide è evidente che la creazione è buona (39, 12-35) e che l’uomo ha liberamente rovinato tutto con il peccato (15, 11-20).

La morte è un fatto biologico che non si può evitare, essa impone un giudizio ultimo sulla vita buona o malvagia dell’uomo (11, 23-28), dice speranza per il giusto e dannazione per l’empio (cfr. Pr 23, 17-18; 24, 14; Gb 8, 11-13; Pr 11, 23; 10, 28). L’afflizione umana colpisce in modo particolare allora i peccatori (40, 1-17).

La condizione umana prevede per tutti la sofferenza e la morte, ma essa può essere riscattati se vi sono i valori buoni vissuti dal giusto. L’empio rifiuta tutto ciò, quindi la sua vita è destinata a fallire con la morte.

Così la morte presenta diversi significati (41, 1-13). Ciò che qui realmente conta, ed è discriminante, è la fedeltà o l’abbandono della legge dell’Altissimo (41, 8), come tale la morte è un fatto naturale e solo per il peccatore è penosa e cattiva.

Libro della Sapienza (50/30 a.c.)

Torna il tema della bontà della creazione e della rovina portata dal peccato dell’uomo (1, 12-14). Dio ha creato l’uomo per la vita eterna (2, 23-24), perciò la morte spirituale è la scelta del peccatore, mentre il giusto vivrà in eterno (3, 9; 5, 15).

Non sono le esperienze umane a decretare il valore della vita, in esse il giusto sembra perfino soccombere e l’empio trionfare, ma agli occhi di Dio non è così, il giudizio ultimo, quello che conta, è ultraterreno (3-4).

 

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