Riflessione sulla sofferenza nel Nuovo Testamento parte 3
A cura di Di Don Francesco Leone
IL MALE,LE STRUTTURE SOCIO-ECONOMICHE E IL CRISTIANO
C’è poi un male morale che si manifesta nelle strutture socio-economiche di una società, a livello nazionale e internazionale, nel campo economico, sociale e culturale.
Il concetto di peccato sociale si è presentato, in particolare, in Occidente con la teologia politica e in America con la teologia della liberazione ed è poi stato elaborato in quello di strutture di peccato (Sollecitudo rei socialis V, 36) che oggettivamente si antepongono al progetto di Dio sull’umanità.
Il cristiano è chiamato ad una distanza critica da ogni forma di struttura socio-economica, egli è chiamato a cambiare dal di dentro le situazioni, anche se questo non è sufficiente per risolverle.
La stessa globalizzazione non può dimenticare la centralità della persona umana, mentre rischia continuamente di generare una spirale di irresponsabilità e una patologia delle istituzioni. A quando una globalizzazione della solidarietà?
DIO E LA SOFFERENZA
Perché Dio ci lascia soffrire?
La domanda di Epicuro (perché il male se Dio è buono ed onnipotente?) è anche di Lattanzio, autore cristiano del III-IV secolo. L’esistenza del male è un tema serio, forse l’unico argomento serio che l’ateismo possa presentare.
La Scrittura presenta varie risposte alla questione del male/sofferenza.
Abbiamo visto che il dolore va collegato non alla volontà di Dio, ma alla libertà colpevole dell’uomo. La creazione è buona (Gn 1-2; Sap 1, 13-14). Gn 2, 19: “Il male che hai fatto ti castiga”.
È in gioco la libertà dell’uomo e la necessità di Dio di creare un uomo libero che solo in tal modo sarebbe capace di entrare in un rapporto d’amore con lui.
Tuttavia il prezzo da pagare per questa libertà sembra troppo alto, inoltre il male eccede tale cattivo uso della libertà, esso è troppo grande per farlo derivare solo dalla cattiva libertà dell’uomo. Ecco allora la figura del serpente.
Con il principio biblico della responsabilità collettiva, la causa del male era sempre trovata. Ma dal VII secolo emerse sempre più il principio della responsabilità personale (Dt 24, 16; Ger 17, 10; 31, 29-30; Ez 18,2), in seguito anche questo modello era incapace di spiegare il dolore innocente.
Dio, il dolore, la salvezza dell’uomo
Vi è nella Bibbia la posizione per la quale la sofferenza è un male in superficie, ma in profondità essa può rappresentare un bene e un valore. Così Mosè legge le prove nel deserto (Dt 8, 2) e il tema è proposto in Gb 1, 9; Pr 3, 11-12; Eb 12, 7-11; Ap 3, 19.
Oppure il dolore è fonte di purificazione e di maturazione: Is 48, 10; Sl 66[65], 10.
Però, e al tempo stesso, Gesù lotta contro la sofferenza umana, ne sono testimonianza i miracoli da lui compiuti, inoltre nel Regno di Dio la sofferenza non ci sarà più (Ap 21, 4).
Soprattutto laddove c’è la sofferenza, lì Dio soffre-con. Non possiamo sapere fino in fondo perché Dio ci lascia soffrire, però dalla Scrittura sappiamo che Dio ci è vicino quando ciò accade.
Tuttavia una risposta ci deve essere anche a questa domanda, ma essa si colloca nella sfera del mistero, non del problema, Dio invita Giobbe ad accettare, lo premia per la fiducia, ma non gli dice il perché di ciò che gli è accaduto e il perché della sofferenza in genere.
La questione non ha soluzione a livello teoretico, si tratta di una reductio in mysterium. Più che chiarire la natura del male, la Scrittura si preoccupa di indicare il modo per uscire dal male e superarlo, nella logica di una redenzione.
Tuttavia la ragione non cessa di indagare la questione.